SENZA UTOPIA

Superamento e/o rottura dei limiti architettonici . 2017
arteideologia raccolta supplementi
made n.13 marzo 2017
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
4
pagina
La forma sociale futura n+1 sarà comunista e chiuderà la serie di n forme che l'hanno preceduta. Come abbiamo visto, l'unità storica delle n forme è riconducibile alla formula di Marx "preistoria umana", ciò che segue sarà la vera storia. La transizione non è di là da venire, la stiamo vivendo.

IL MEZZO DISCRIMINATORIO DEL TEMPO *

Il tempo è un criterio insieme quantitativo e qualitativo che può essere oggetto di scienza esatta. Esso diviene per l'uomo sempre più ricco e più denso. Questa densità, oltre che denominatore comune a capitalismo e comunismo, laddove il primo è la base economica del secondo, costituisce anche la loro differenza specifica. Il tempo ha infatti nei due casi un contenuto opposto: reificato dal capitate, vivificato e umanizzato dal comunismo, in quanto il primo succhia dal tempo vivo operaio tutta la forza e la potenza delle macchine per produrre derrate oggettivata morte, mentre il secondo mette a disposizione dell'uomo attivo o produttore tutta la scienza, l'esperienza e l'abilita accumulate dalle passate generazioni.
La società comunista sviluppa la forza produttiva e creatrice dell'uomo, il quale si appropria tutte le conquiste rendendole viventi in sé. E' un processo di palingenesi, di fecondazione dell'intera Natura ad opera dell'uomo, la famosa "umanizzazione della natura", di cui Marx paria nei Manoscritti del 1844. Due movimenti storici — coincidenti alla fine nella pratica e che noi distinguiamo solo per un ragionamento logico - permettono di giungere a questo grandioso risultato: in un primo atto di disciplinazione l'uomo si appropria — con coerenza, rigore, sistema e fedeltà — l'esperienza di tutte le generazioni passate, la memoria collettiva, apprendendola non nelle scuole ma nel secondo atto di creazione nel seno del grande laboratorio o libro (per parlare il linguaggio degli sciocchi pedagoghi odierni [1]) aperto delle forze viventi della produzione e della società, atto che è ad un tempo consumo e godimento infinitamente diversificato, elevato, “nobile”, complesso, profondo e ampio, in una parola universale.
Appare qui in luce chiarissima la differenza tra capitalismo, che è riduzione per la produzione (ossia aumento delle ricchezze e della proprietà privata senza considerazione per l'uomo, il che significa che la stragrande maggioranza della sempre più numerosa umanità è pauperizzata a ritmo crescente) e comunismo, che è produzione per il pieno sviluppo dell'uomo o meglio di tutti gli uomini, dell'intera collettività umana, in cui la vita, l'esistenza e il movimento in tutte le direzioni hanno sostituito l'avere, ossia la moltiplicazione di oggetti di sempre minor valore. L'aumento della produttività del lavoro impone la prospettiva del più compiuto sviluppo umano in una società che non sarà alienata ed esteriore all'uomo, oggettivata nelle cose, ma svilupperà la vita umana, o meglio la specie in continua crescita.
Il socialismo non è dunque il sistema dell'industria pesante di base alla Stalin, né quello dell'industria leggera di punta nella versione dei suoi emulatori occidentali. Questa deformata visione non è altro che la visione borghese e romantico-utopistica nata agli albori del capitalismo, in un'epoca, cioè, in cui si trattava di allestire la base economica del socialismo. Essa aderiva infatti all'ideologia di edificatori e di operatori economici, di promotori e di progettatori di piani che non si sporcano mai le mani. La Tecnica (o capitale morto) è l'esempio più macroscopico di questa vera e propria degenerazione delle capacità produttive del Capitale, che separa l'Idea (resa venale) dal lavoro materiale dell'operaio (ignorante e passivo), così come dall'ancor più ignorante e passivo consumatore, donde lo sciupio inaudito e il completo abbrutimento della massa dei consumatori.  La "scienza" genera così l’oscurantismo col feticismo per gli oggetti (di proprietà) e la robotizzazione delle attività umane subordinate e debilitate.
Marx-Engels diedero una memorabile strigliata a uno di questi Grandi Architetti, il socialista piccolo-borghese sentimentale Kriege, che a New York si dilettava a creare sistemi per illuminare le masse ignare sul socialismo: "E’ vile e ipocrita presentare il comunismo come un “compimento” o una “realizzazione”, e non come la distruzione delle miserabili condizioni esistenti e delle illusioni che se ne fanno i borghesi”[2]. A voi, moderni riformisti che considerate il socialismo come il prolungamento graduale del capitalismo!
Se il comunismo continuerà ad accrescere le forze produttive, non sarà per aumentare ancora la produzione, bensì per diminuire sempre più l'orario di lavoro e il tormento ad esso legato. La prima verità del comunismo (frontalmente opposto alla prassi criminale del capitale nella sua suprema fase di delirio) è che esso non accelererà la pazza corsa a produrre, spezzata e frenata già dalla vittoria della rivoluzione socialista.
Non solo il capitalismo ha da tempo costruito quanta a noi basta ed avanza come base "tecnica" per il socialismo, ossia come dotazione di forze produttive, sicché il grande problema storico non è - nell'area BIANCA - di crescere il potenziale lavorativo, ma di spazzare via le FORME SOCIALI di ingombro alla buona distribuzione ed organizzazione nel mondo delle forze ed energie utili, vietandone lo sfruttamento e il dilapidamento. Ma lo stesso capitalismo HA TROPPO COSTRUITO e vive nell'antitesi storica: distruggere o saltare sotto la pressione della sua pletora.
Lo stesso capitalismo, che con l'introduzione delle macchine ha sviluppato i mezzi materiali per diminuire drasticamente lIe ore di lavoro, è incapace di farlo per gli operai produttivi: esso crea il tempo libero solo per la classe dei borghesi e per le loro innumeri appendici. Le classi medie, che sterilizzano i progressi dovuti al LAVORO.[3]
La rabbia di produrre diviene delirium tremens nell'età senile del capitale e prosegue in piena crisi di sovrapproduzione, giacché la produzione borghese è legata al plusvalore, confermando appieno la scienza economica del marxismo che ha sottolineato come la terra sia progressivamente rovinata e devastata dall'applicazione demenziale delle macchine e di procedimenti tecnici di un'efficacia diabolica, ancora stimolata dalla sete di denaro che l'inflazione e l'accumulazione degli zeri rendono oggi più derisoria che mai.
La produzione per la produzione è infatti inerente alle leggi dell'economia capitalistica (discesa del saggio di profitto, concorrenza, necessità di accrescere ad ogni costo la parte relativa del sopralavoro, ecc.) e provoca sovraproduzione e crisi, guerre e genocidi criminali, rovine e devastazioni in tutto il pianeta al solo scopo di riassorbire le eccedenze. Ma ciò non impedirà al capitalismo, che soddisfa l'eccesso produttivo coll'affamamento della stragrande maggioranza dell'umanità e colla rapina di risorse e materie prime per le insaziabili fauci del Moloch, di sfuggire al crollo totale.
La legislazione sul lavoro volge alla società comunista, e l'anticipa, anche se in forma ancora alienata (il comunismo ignora le forme irrigidite e reificate del diritto), con un'azione vivente, in divenire, che spinge cioè al suo sviluppo ed allargamento futuri, a nuove conquiste e non - come propongono i riformisti - a difesa di quelle del passato, nella mentita affermazione che la società borghese assicuri gradualmente un progresso crescente, laddove essa in realtà non fa altro che fagocitare man mano le conquiste operate. Così, ad esempio, grazie all'aumento della produttività e dell'intensità del ritmo degli sforzi, il capitale trasforma le otto ore in una giornata più densa, più feconda e quindi più lunga di prima.
L'azione sindacale, che verte essenzialmente su rivendicazioni economiche, riflette al massimo grado il carattere effimero di queste misure, il cui interesse collettivo e storico — la continuità e la sistematizzazione – è politico, ossia dipende da un'azione di classe che soltanto il partito può organicamente impostare.
La legge sulla riduzione del tempo di lavoro anticipa - non più idealmente, ma materialmente ed economicamente - i rapporti della nostra forma sociale per cui sarà la comunità dei produttori, sulla base di un progetto o di un piano collettivo, a determinare il processo di produzione. Nella sua azione presente, locale e parziale, questa legge utilizza fin d'ora gli stessi metodi comunisti della società collettivista, in quanto separa il tempo in cui il proletariato è impegnato nella produzione da quello in cui è libero di organizzarsi in vista della conquista dei prodotti del lavoro, quei prodotti che vengono oggi usurpati dagli oziosi (che non lavorano nella produzione immediata) e hanno in mano l'amministrazione, lo Stato, la scienza, l'arte, ecc. di cui i produttori stessi devono appropriarsi per potersi sviluppare. Questo tempo libero, così regolato, non ha niente a che vedere con le illusioni delle vacanze per tutti, questo vuoto del vuoto dell'inattività passiva: è una lotta per migliori condizioni di lavoro e di vita finché durano le società di classe.
In un passato meno fetido del presente, si scaglionavano le “vacanze” estive in un periodo di tre mesi, non per far crepare di noia i bambini accanto ai genitori sdraiati sulle monotone spiagge, ma per far loro cambiare di attività nel momento dei raccolti mobilitanti molte braccia.
La diminuizione delle ore di lavoro è il mistero svelato della superiore forma di produzione, la sintesi, in una formula, del programma di transizione al comunismo teorizzato da Marx-Engels che costituisce già ora il movimento reale della società comunista. Il programma comunista del partito di classe difende fin dall'inizio la situazione futura di un minor tempo di lavoro, alfine di servire utilmente la vita. Il Partito lavora a questo risultato dell'avvenire facendo leva su tutti i mezzi politici ed economici esistenti nella società capitalistica.
Questa conquista, apparentemente espressa in termini modesti da “ore" è ridotta ad un computo materiale, rappresenta in realtà una gigantesca vittoria - la più alta possibile - sulla necessità che spinge noi tutti e ci rende schiavi. Anche allorché il capitalismo e le classi saranno state soppresse, la specie umana sarà ancora sottomessa alla necessità imposta dalle forze naturali, e la libertà - assoluto filosofico - resterà un vaniloquio.

Definiremo dunque capitalismo e comunismo in tal modo: il primo ha per scopo l'arricchimento e la massima produzione, mentre il secondo, al contrario, la diminuzione dello sforzo di lavoro e l’aumento del tempo libero.
E' arcifalsa la pretesa che anche il capitalismo abbia contribuito a questo risultato che è caratteristico del comunismo e di esso soltanto. Al contrario, il capitale non ha fatto che aumentare il tormento dell'operaio, con le macchine che allungano gli orari spingendo al lavoro notturno. Si citano con orrore le giornate di lavoro di 16 ore, e si vanta con compiacenza la “recente” conquista delle 8 ore (imposta da generazioni  di operai dopo decenni di lotte ardenti contro i borghesi, che a distanza di un secolo non rinunziano ancora a rimetterla in discussione ovunque nel mondo). L'ideale a cui tende il capitale è la giornata di 15-16 ore che esisteva non prima, bensì all'inizio del capitalismo. Anziché diminuire il tormento del lavoro, esso aumenta la disoccupazione e la miseria. Come ha constatato Marx, le macchine hanno introdotto e generalizzato il lavoro notturno e tratto in un'ora cinquanta e più ore dalla carcassa umana. Il capitale accaparra il tempo libero, prodotto dal lavoro più efficace degli operai produttivi, per aumentare il tempo libero dei suoi lacchè, i quali non partecipano alla produzione ma consumano il prodotto delle industrie improduttive, di lusso, ecc. che mascherano la sovraproduzione: proprio queste classi oziose e parassitarie sono in continuo aumento e sono loro ad annullare per l'operaio produttivo i vantaggi della sua accresciuta produttività.[4]
Il brillante risultato a cui il capitale perviene si può quindi così riassumere: da una parte esso accresce sempre più la fatica e il tempo di lavoro degli operai produttivi, mentre dall'altra il loro prodotto (tempo libero compreso) viene consegnato alle classi oziose. Proprio queste classi che mangiano il prodotto operaio (e realizzano il capitale consumando) sono, nella teoria capitalista, le classi necessarie, in quanto formano la domanda e possiedono i redditi per assorbire la crescente sovraproduzione. Soprannumerari sono gli operai, che quando sono troppo produttivi sono buttati sul lastrico, coll'effetto di aumentare ancora il ritmo e il tormento del lavoro di quanti continuano a produrre. Il capitale è persino impotente a spartire il lavoro fra questi operai e i disoccupati, tanto è inestinguibile la sua sete di sopralavoro.[5]

LA RIVOLUZIONE NEI PAESI SVILUPPATI

A differenza delle misure economiche post-rivoluzionarie, che nei paesi sviluppati faranno leva su condizioni di produzione arci-mature, e dunque favorevoli, la rivoluzione stessa sarà invece più difficile che mai, in quanto dovrà scontrarsi con tutti gli ingombri accumulati dall'ultratotalitario e superarmato Stato borghese, che, pronto a tutto e senza scrupoli, utilizzerà tutte le astuzie delle diverse classi dominanti successive della storia. Essa sarà infinitamente più difficile da portare a termine che non all'inizio del capitalismo o nei paesi attardati, come dimostra chiaramente la storia dell'Europa occidentale del XIX e XX secolo.
Per questo motivo, dal punto di vista politico, le parole d'ordine di preparazione alla rivoluzione devono basarsi su una critica feroce, fin nei suoi aspetti più quotidiani, dell'intero modo di vita borghese, che incatena giorno dopo giorno le masse. Gli ultimi scrupoli paralizzanti, suggeriti dai pretesi valori della moderna civiltà che la rivoluzione farà volare in aria, saranno sradicati definitivamente dalle trasformazioni economiche e sociali del periodo di transizione al socialismo. Il partito deve dunque imperniare le proprie parole d'ordine sulla denuncia spietata della democrazia (coesistenza delle classi), onde dare al proletariato la sua assoluta autonomia di classe che ne promuova la radicale opposizione alla società borghese e alle classi che la sostengono; quanto al delicato problema dell'alleanza. col contadiname, bisogna prima ribadire che i braccianti agricoli salariati sono parte integrante del proletariato, e se i contadini, muscoli rivoluzionari, ma perduti nelle tenebre di pregiudizi millenari possono lottare, non possono però - anche se poveri - sapere e vedere quei traguardi tanto più alti, per i quali solo la classe dei lavoratori di massa e nullatenenti ha organi di senso e di pensiero.
Di qui il ruolo essenziale del Partito, che già prima la rivoluzione rappresenta e difende l'integrale patrimonio programmatico della classe. La sua critica e la sua propaganda devono bollare a fuoco il culturalismo, questa cancrena dei partiti opportunisti che, ubriacati dell'ideologia delle classi oziose, le quali si sono appropriate le pretese scienze, arti, lettere, e... i loro sofismi, civettano con gli intellettuali e le classi medie. Instancabilmente esso deve ripetere questa verità: l’istinto e l'intuizione stanno in ragione inversa della cultura diffusa dalla classe dominante in seno alle sue innumerevoli quanto pietose scuole, e che noi ammiriamo un proletariato sprovvisto di diplomi e di titoli di studi anche elementari, ma detentore del titolo supremo della verità rivoluzionaria, da cui la scienza ufficiale è lontana mille miglia.
Ma non è tutto: occorre anche combattere l'ideologia diffusa dal "comunismo" divenuto borghese della Russia, e particolarmente il culto della tecnica, tanto cara all’aristocrazia operaia che vede in essa la causa dei suoi alti salari e dei suoi privilegi. Questo feticcio va infranto perché la tecnica altro non è se non il sistema delle macchine, nelle quali si incarna il capitale per opprimere il lavoro vivo e produrre la mutilante e debilitante divisione del lavoro, con i vuoti quanto inutili esperti e specialisti. A questo stadio, il partito attacca violentemente le concezioni operaiste e consigliste osannanti l'azienda, che si vorrebbe gestita a profitto degli operai, ma di cui si deve invece progressivamente spezzare i limiti per spingere a fondo la socializzazione che sola permetterà di superare le enormi ineguaglianze di sviluppo tra i vari paesi e continenti. Localismo economico e corporativismo sono diametralmente opposti all'internazionalismo dei nullatenenti.
Insomma, il proletariato, liberato dal primo atto rivoluzionario, dovrà spezzare tutte le catene che lo legavano alle icone, a quelle reali storiche forze di classe che si chiamano divinità, personalità, libertà, proprietà, culto imbecille dello Stato, della patria, della famiglia, della casa infine, ultima e più sinistra prigione che il fiammeggiare del comunismo mondiale deve disonorare prima, dissolvere poi.[6]
pagina


* Due paragrafi dalla prefazione de "Le forme di produzione successive nella teoria marxista (1960)", Edizioni 19/75, Torino 1980. 320 pagine, dal comunismo primitivo al comunismo superiore attraverso lo sviluppo sociale delle forze produttive e le rivoluzioni che ne segnano il percorso. Un testo che sviluppa le tesi abbozzate da Marx nei Grundrisse, importantissime per comprendere la metamorfosi dei modi di produzione, cioè il dialettico trapasso da una forma ad un'altra antitetica attraverso accumulo continuo di contraddizioni che trovano la loro soluzione discontinua e catastrofica negli eventi rivoluzionari sociali. - Indice del volume: I rapporti della società del comunismo primitivo; I rapporti della forma secondaria (asiatica, antico-classica, germanica); I rapporti della forma terziaria (il feudalesimo); La forma quaternaria (il capitalismo); La forma quinaria (il comunismo). > Cfr. schema

Note ai paragrafi

[1] - Rimandiamo il lettore agli scritti di Marx-Engels sul processo di nascita dell'uomo nuovo del comunismo superiore nella produzione e nella società - e non più nelle scuole e nelle instupidenti università borghesi — mediante la combinazione del lavoro manuale col lavoro (e non insegnamento) intellettuale, scritti riportati nella sezione II sulla genesi dell'”educazione” comunista, p.133-260 della raccolta: Marx-Engels, Critique de l'éducation et de l'enseignement, Ed. Maspero, Parigi 1976.
[2] - Cf. Marx-Engels, Circolare contro Kriege, in Opere VI, Roma 1973, p. 42.
[3] - Cf. Marx-Engels, Critique de Malthus, Ed. Maspero, Parigi 1978, per tutta la problematica degli oziosi che prevalgono sugli attivi, gli intellettuali sui manuali, i maschi sulle donne, i redditieri sui produttivi, i disoccupati su quanti nel mondo trovano lavoro.
[4] - Come dice il socialista "ricardiano" Ravenstone, citato frequentemente da Marx nei manoscritti inediti di Zur Kritik ecc. (cit, p. 277), la proprietà e il capitale non hanno in vista "che un affare: produrre la pigrizia", cioè il tempo libero morto, così come il capitale stesso è morto ed è ammortamento di tutto ciò che tocca. In questo senso, ancora, è a partire dalla società comunista che si afferra appieno la natura del capitale, il quale "non esiste" o - in altri termini equivalenti - uccide il lavoro vivo man mano che lo assorbe.
[5] - Il numero di americani che lavorano 55 ore alla settimana è passato dal 20,5% nel 1950 al 26,9% nel 1970. Durante lo stesso periodo, il numero dei disoccupati è passato dal 5% al 10% circa. Se si tiene conto del tempo speso per recarsi sul posto di lavoro, del lavoro vero e proprio e dei lavori più o meno domestici, essi lavorano in media 10 ore e mezza al giorno; grazie alla recessione, molti americani hanno un secondo "job" o fanno ore straordinarie. Anche se, sul piano dell’orario di lavoro, si è registrato un leggero miglioramento, questo è cancellato dal fatto che il numero delle donne sposate che lavorano è raddoppiato in 20 anni, e "Il numero di ore di lavoro fornite da una coppia americana ogni settimana è più elevato che all’indomani della seconda guerra mondiale", cf. Witznitzer, Trop de temps libre? , in Le Monde del 1978.
[6] - Rinviamo il lettore alla raccolta di Marx-Engels, La Communauté de l’avenir, Ed. Maspéro, Parigi 1976, per quel che concerne il programma dell’abolizione delle differenze tra città e campagna, corollario dell’eliminazione dell’antagonismo tra industria e agricoltura  legate tra di loro dal mercantilismo. Finalmente con l’edificazione di palazzi comunistari saranno liquidati la follia della proprietà privata dei domicilii individuali, la famiglia e il suo corollario, lo Stato, che racchiude la micro-organizzazione familiare sinonimo di schiavitù per le donne e i fanciulli.